
Aspiriamo fin da piccoli a “diventare qualcuno” (che, spesso e implicitamente, viene interpretato come diventare qualcun altro da sé, come se ciò che si è non vada già bene come punto di partenza da implementare) a “farsi strada”, insomma, ad “avere successo”. Ma cosa intendiamo davvero con questa espressione?
La sua accezione più comune rimanda al raggiungimento di traguardi esterni, tappe ben definite e socialmente approvate: una certa carriera, un certo status, un certo patrimonio. Nell’immaginario collettivo, specie alle nostre latitudini e in particolare in questo momento storico, l’espressione avere successo rappresenta una traiettoria di vita di chi sembra aver realizzato degli scopi e conseguito degli obiettivi giudicati tappe immancabili di una biografia che abbia saputo rispondere ad aspettative e richieste, soprattutto sociali, comunitarie e familiari, entro una scala di valori definita entro la propria cultura.
La seduzione della mappa altrui: “Avere Successo”
L'”avere successo”, nel suo significato più diffuso, non è di per sé un male, ovviamente.
Conseguire obiettivi riconosciuti dalla società può portare gratificazioni concrete e alimentare il nostro senso di competenza. Il problema sorge quando questa diventa l’unica misura del nostro valore. Questo modello, infatti, ci spinge inevitabilmente verso l’adesione a standard esterni, sul costante interrogarsi su “cosa ci si aspetta da me?”. La pressione a rispettare le tappe culturalmente definite – la laurea “giusta”, il lavoro prestigioso, il matrimonio, i figli entro certi tempi, la casa di proprietà – può diventare fonte di ansia, stress e di una logorante sensazione di non essere mai adeguati.
Accade così, non di rado, che persone ammirate per i loro successi esteriori confessino, in spazi protetti come quello terapeutico, un profondo senso di vuoto o di disconnessione da sé. È il paradosso di chi ha meticolosamente spuntato tutte le caselle della lista altrui, smarrendo però lungo il cammino la propria. Questo scollamento può sfociare in burnout, stati ansiosi e depressivi o nella cosiddetta “sindrome dell’impostore”, quella paura angosciante di non meritare i traguardi raggiunti perché non sentiti come espressione autentica del proprio sé. Fondare il proprio valore su questi parametri esterni, inoltre, ci rende dolorosamente dipendenti dal giudizio altrui. La nostra autostima diventa allora precaria, fluttuante al ritmo dei riconoscimenti, delle promozioni, degli applausi, lasciandoci fragili di fronte alle critiche e ai fallimenti, che pure sono parte inevitabile dell’esistenza.
Il miracolo del generarsi: “Essere Successo”
Di fronte a questo scenario, emerge con forza il concetto di “essere successo”. È una metafora, grammaticamente un po’ forzata, che sposta l’accento dall’avere all’essere, dal possedere risultati esterni al diventare se stessi, nei modi in cui ci è possibile. Non si tratta di raggiungere una destinazione finale, ma di intraprendere un processo dinamico per “accadere a sé stessi”, un generarsi che sgorga dall’interno. Qui, l’autenticità diventa la stella polare: “essere successo” significa scoprire, coltivare e dare spazio alla propria natura unica, ai valori che ci muovono nel profondo, alle passioni che ci accendono. È l’arte di trovare la propria voce interiore e avere il coraggio di darle ascolto, anche quando ci suggerisce percorsi meno battuti, meno compresi dal mondo esterno e magari dolorosi.
Questo successo, definito dall’interno, si nutre di coerenza tra ciò che siamo, ciò che sentiamo e come agiamo. Implica un lavoro attivo di auto-consapevolezza, un viaggio affascinante dentro di sé. E qui, la lingua stessa ci offre uno spunto illuminante. La parola italiana “conoscere” (come il latino gnosco o il greco gignosco) affonda le sue radici nell’antico verbo greco gignomai, che significa “nascere”, “essere generato”, “diventare”. Questa connessione etimologica ci rivela una verità psicologica profonda: la vera conoscenza di sé non è un mero accumulo di informazioni su di sé, come un inventario di caratteristiche, ruoli e funzioni. È, piuttosto, un atto generativo. Conoscersi significa generarsi, darsi alla luce continuamente, scoprirsi nel processo stesso del vivere e dello scegliere. “Essere successo”, quindi, non è raggiungere uno stato, ma partecipare attivamente a questo processo vitale di auto-creazione, ridefinendo i propri criteri, le proprie richieste e aspettative su cosa significhi una vita ben vissuta. È un successo che trova il suo significato nel processo stesso, nel viaggio di crescita e scoperta, più che nella meta finale. Vivere in questo modo, più allineati con la propria verità interiore, nutre un benessere psicologico più solido e profondo, che non dipende in modo primario dai risultati esterni, e costruisce una maggiore resilienza di fronte alle inevitabili sfide della vita.
Il coraggio del viaggio: verso l'”Essere Successo”
Abbracciare la logica dell'”essere successo” non avviene con uno schiocco di dita. È un cammino, a volte tortuoso, mai lineare, che richiede coraggio, pazienza e la volontà di mettere in discussione credenze radicate. Il primo passo fondamentale è coltivare l’ascolto profondo di sé: creare spazi di silenzio per percepire cosa ci comunicano le nostre emozioni, i nostri sogni, i nostri momenti di slancio o di fatica. Un percorso di psicoterapia, ad esempio, può offrire un contenitore sicuro e competente per facilitare questo ascolto e aiutare a decifrare i messaggi del nostro mondo interiore.
Questo ascolto ci porta naturalmente a questionare le aspettative che abbiamo interiorizzato: “Questi obiettivi che inseguo quanto sono davvero miei, o appartengono in modo preponderante alla mia famiglia, alla società, alla cultura? E, in modo più complesso, poiché ciò che sono è in parte un’eredità inevitabile dei contesti in cui mi sono formato, quanto consapevolmente posso scegliere ciò che ho ereditato? “; “Posso mettere a tema e in discussione le mie eredità, le mie credenze, le mie convinzioni, per capire, nei limiti del possibile, quanto siano allineate ai miei desideri profondi e ai miei bisogni?”.
Imparare non dico a distinguere chirurgicamente la nostra melodia interiore dal rumore di fondo delle richieste esterne quanto, almeno, provare a suonarla a modo nostro, è un passaggio cruciale. Intraprendere questo viaggio significa anche accettare l’incertezza e l’imperfezione. Non esistono mappe preconfezionate per accadere a se stessi, ben sapendo che questo risultato però richiede la nostra partecipazione, il nostro desiderio, talvolta la nostra abnegazione; occorre la capacità di tollerare il non sapere, di sperimentare, di smarrirsi e di ricalibrare la rotta con flessibilità. È un processo organico, simile alla crescita di una pianta che cerca la luce a modo suo. Infine, si tratta di tradurre progressivamente questa crescente consapevolezza interiore in scelte e azioni concrete, cercando di vivere ogni giorno in modo più coerente con chi sentiamo di essere nel profondo.
L’invito, dunque, non è a demonizzare il successo esterno né a perseguire, idealizzandola, una realizzazione piena e senza ombre di sé, ma ad accogliersi e coltivarsi con rispetto e accettazione. Il successo più autentico, quello che nutre l’anima e costruisce un benessere psicologico stabile e duraturo, non risiede tanto nel conformarsi acriticamente a un copione scritto da altri, quanto nel coraggioso, continuo, amorevole e generativo processo di interrogarlo, esplorarlo e riportarlo a domande fondamentali, cercando nuovi e più soddisfacenti equilibri.
AlessandroCiardi
Psicologo, Psicoterapeuta Milano
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