
L’estate è il tempo delle giornate lunghe, dei ritmi che rallentano, delle vacanze e delle città che (ormai non più come un tempo) si svuotano. Per molti rappresenta una pausa desiderata, un’opportunità di riposo, di incontro con sé e con gli altri. Eppure, non per tutti l’estate è un tempo semplice. Per alcune persone, proprio ciò che dovrebbe dare sollievo diventa fonte di ansia. Quando si interrompono le routine e i riferimenti abituali si fanno sfumati si può avere la sensazione di perdere un orientamento interno.
Paradossalmente, l’estate – simbolo di libertà – può diventare un tempo difficile, in cui emergono sentimenti di vuoto, solitudine o spaesamento. Questo fenomeno è tutt’altro che raro.
La letteratura psicologica ha più volte messo in luce come i cambiamenti di routine, anche se in senso positivo, possano aumentare lo stress percepito. Secondo uno studio pubblicato sul Journal of Affective Disorders (2021), esiste una forma di sintomatologia ansioso-depressiva con andamento stagionale anche durante i mesi estivi, con particolare incidenza nei soggetti più sensibili alle modificazioni ambientali e relazionali.
A livello psicodinamico, questa vulnerabilità estiva può essere letta come una difficoltà nel sostenere il vuoto e la sospensione simbolica che l’estate rappresenta. Wilfred Bion ha descritto l’importanza della funzione “alfa” della mente, ovvero la capacità di trasformare le impressioni grezze in pensieri. Quando i contenitori esterni (strutture, appuntamenti, relazioni significative) vengono meno, può mancare anche quella funzione contenitiva interna, esponendo la persona a vissuti di frammentazione o confusione.
Nei disturbi d’ansia generalizzata, ad esempio, il cambiamento dei ritmi abituali può acuire sintomi come l’irrequietezza, la difficoltà di concentrazione, la tensione muscolare o l’insonnia. Anche nei quadri depressivi lievi, la pausa estiva può far emergere una perdita di senso, una mancanza di progettualità o una percezione di inadeguatezza rispetto alle aspettative sociali di felicità e leggerezza. La cosiddetta “Sunday neurosis” descritta da Viktor Frankl, trova una forma simile nella difficoltà che alcune persone incontrano nel gestire il tempo libero non strutturato.
Forse ci si sta disabituando ad accogliere i vuoti e a guardarci dentro, a stare in tempi non contingentati trovandoci in diffcoltà, mani in mano, ad avere a che fare con domande e questioni che teniamo a bada sotto la coltre delle abitudini. Per questo motivo, l’appuntamento con alcune domande su di sé non andrebbe evitato e, qualora le risposte siano difficili da sostenere e alcune verità da ammettere, c’è sempre la possibilità di darsi il tempo di comprendere ed elaborare, magari proprio entro un percorso di psicoterapia.
Alcune strategie
In questo scenario, pratiche come la mindfulness e la self-compassion possono offrire un ancoraggio importante. La mindfulness insegna a osservare i pensieri e le emozioni senza giudizio, sviluppando una capacità di auto-regolazione anche nei momenti di instabilità. Non si tratta di evitare il vuoto, ma di imparare a starci dentro con curiosità e accoglienza.
Una pratica semplice di mindfulness consiste nel portare l’attenzione, lentamente, alle diverse parti del corpo (Body-scan), partendo dai piedi fino alla testa. Non si tratta di rilassare o cambiare nulla, ma di ascoltare le sensazioni corporee così come sono – calore, tensione, leggerezza, assenza – con curiosità e senza giudizio. Quando la mente si distrae, si può tornare con gentilezza al punto in cui si era rimasti. Questa pratica, anche se fatta per pochi minuti, aiuta a radicarsi nel corpo e a ritrovare una base di stabilità nei momenti di ansia o disorientamento
La self-compassion, come proposta da Kristin Neff e sviluppata nella Compassion Focused Therapy, aiuta a trattarsi con la stessa cura che riserveremmo a una persona cara. Nei momenti di inquietudine estiva, può essere utile tenere un diario della gentilezza verso di sé, in cui annotare gesti di cura ricevuti o offerti a se stessi durante la giornata.
L’estate non è sempre un tempo leggero. Talvolta, il silenzio che si apre tra un impegno e l’altro può diventare assordante. Ma proprio in quel silenzio si cela una possibilità: quella di ascoltare ciò che normalmente si mette a tacere. Non è necessario riempire ogni spazio, né aderire a modelli di felicità preconfezionata. Essere gentili con sé, prendersi cura delle proprie fragilità, riconoscere i bisogni autentici: questi sono atti di presenza e maturità.
Come suggerisce la teoria dell’attaccamento, le persone più sicure non sono quelle che non hanno mai bisogno, ma quelle che sanno riconoscere i propri bisogni e cercare connessioni e relazioni affidabili. Anche con se stessi. L’estate può allora diventare un laboratorio di senso: un tempo in cui imparare, lentamente, a stare. E magari anche a scegliere, con più consapevolezza, come abitare la propria libertà.
AlessandroCiardi
Psicologo, Psicoterapeuta Milano
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